Al momento stai visualizzando Il Museo Bartali e il Tour a Firenze: un viaggio nell’evoluzione del design della bicicletta
Museo Bartali - Credit photo: @andreaterreni
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Museo Bartali – Credit photo: @andreaterreni

Siamo stati in visita al Museo Bartali di Firenze proprio a pochi giorni dalla partenza del Tour de France. Un’evento unico che investe il capoluogo toscano di quell’aurea magica che soltanto la corsa a tappe ciclistica francese riesce a donare ai luoghi che la ospitano. Un’evento planetario che per la prima volta nella sua ultracentenaria storia vede il “Grand Depart” dall’Italia. Il Museo dedicato all’indimenticato e indimenticabile campione vede al suo interno cimeli di una carriera straordinaria che ha saputo emozionare non solo all’interno della sfera sportiva.

Bartali infatti è stato anche nominato Giusto fra le Nazioni per la sua attività solidale nei confronti degli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale. Grazie al suo impegno e alla sua enorme umanità infatti il campione ha messo al servizio della causa ebraica il suo servizio riuscendo a fornire un aiuto che ha permesso di salvare innumerevoli vite umane. Il Museo è stato per l’occasione -la partenza del Tour da Firenze– addobbato a festa. Sono presenti infatti, in veste straordinaria, cimeli di tutti i corridori italiani in grado di vincere negli anni la più importante corsa ciclistica mondiale. Ma il pezzo forte è e resta l’enorme collezione di biciclette da corsa e da lavoro che testimonia l’evoluzione della tecnologia e del design applicato alla progettazione del mezzo a pedali.

Museo Bartali Firenze: un’enciclopedia della bici da corsa

Il Museo è posto al piano superiore di un edificio che sorge al centro del paese di Ponte a Ema. Qui Bartali ebbe i natali il 18 luglio 1914. Vicino il piccolo Circolo Arci serve a rendere ancor più caratteristico l’ingresso all’esposizione. Una mattinata di sole entra dalle ampie finestre e inonda in controluce i cimeli che fanno mostra di se appesi alle pareti, sospesi nel vuoto o alzati si piedistalli. Colore ovunque. Colore delle maglie che circondano cartelli che spiegano l’esposizione, colore delle biciclette che sorgono alla vista ovunque questa si posi. Il giallo emerge più di altri e le maglie di questo colore circondano l’area espositiva al centro del salone principale. Sono le maglie di Bottecchia, Bartali, Coppi, Nencini, Gimondi, Pantani e Nibali. Gli eroi italiani in grado di riportare a casa il prezioso vessillo, simbolo del successo al Tour de France.

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Pannello espositivo – Credit photo: @andreaterreni

Dal velocipede alla bici da corsa

Il viaggio in mezzo alle biciclette di ogni epoca comincia dallo splendido velocipede che fa bella mostra in cima alla scalinata che conduce al Museo. Siamo a fine ottocento e già si può cominciare a parlare di bicicletta. Non c’è catena di trasmissione e la pedalata avviene direttamente sull’enorme ruota anteriore. Da li a poco si sperimenterà la trasmissione con catena in parallelo. Questo permetterà alla biciletta di assumere la forma che ancora oggi conosciamo, con due ruote uguali.

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velocipede – Credit photo: @andreaterreni

Bianchi e Legnano, icone di design nel ciclismo

Il ferro lascia spazio all’acciaio, sempre molto resistente ma ben più leggero. Già Bartali e Coppi hanno potuto utilizzare questo materiale, fregiandosi degli sviluppi di due dei marchi italiani di biciclette più importanti: Legnano e Bianchi, autentiche icone di design e bellezza. La Bianchi con il tradizionale celeste che ancora oggi accompagna nelle rifiniture le moderne bici da corsa e la Legnano col verde che ne ha caratterizzato decenni di produzione artigianale. I binomi Bartali-Legnano e Coppi-Bianchi sono anch’essi iconici ed eterni nell’immaginario collettivo.

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Bianchi Specialissima di Fausto Coppi 1949 – Credit photo: @andreaterreni

Dall’acciaio al carbonio: uno sviluppo sempre più veloce

Se per molto tempo la bicicletta in acciaio è stata la migliore e l’unica utilizzata sia in corsa che nella vita di tutti i giorni, molto più veloce è stato lo sviluppo dei materiali negli ultimi anni. Già a fine anni ottanta ma definitivamente negli anni novanta è stato l’alluminio il protagonista dei telai da corsa. Il Museo Bartali a Firenze espone in questi giorni la bellissima Bianchi in alluminio con cui Marco Pantani ha trionfato al Tour de France del 1998. Sono anni in cui l’evoluzione dei materiali e lo studio di forme e design alternativi l’ha fatta da padrone nello sviluppo tecnologico del ciclismo. In questa direzione va l’ultima bici in esposizione in ordine cronologico: la Willier Triestina in carbonio di Vincenzo Nibali. Questa è l’ultima bici con cui ha corso il campione siciliano, vincitore del Tour de France nel 2014.

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Bianchi Mega Pro di Marco Pantani del 1998 – Credit photo: @andreaterreni

Museo Bartali Firenze: le bici da lavoro

Una saletta adiacente al salone principale è una vera e propria chicca del museo. Al suo interno le bici tiratissime nella forma e splendenti nei colori lasciano spazio a quelle più vere dei mestieri di un tempo. Ecco che oltre ad un Tandem marchiato Bartali fanno bella mostra di se le biciclette dei mestieri:

  • la bici dei Pompieri;
  • la bici del calzolaio (in foto);
  • la bici del barbiere;
  • la bici del postino.

Autentici gioielli che testimoniano un tempo andata della storia meravigliosa del nostro paese. La bicicletta, questa straordinaria creatura dell’uomo che dell’uomo stesso è stata, è e sarà fedele compagna nel tempo.

Museo Bartali Firenze: le informazioni per visitare l’esposizione

Il Museo del ciclismo Gino Bartali si trova a Ponte a Ema in via Chiantigiana 175.

L’esposizione è ad ingresso gratuito ed è visitabile dal venerdi alla domenica nei seguenti orari:

  • venerdi 10-13
  • sabato 10-13
  • domenica 10-16

Per informazioni contattare info@ciclomuseo-bartali.it

ANDREA TERRENI

©impulsicreativi.it – riproduzione riservata.

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Andrea Terreni

Mi chiamo Andrea Terreni e vivo a Firenze da quando ho scelto di frequentare qui l'Università. Mi sono laureato in Pedagogia senza apparente sforzo, impegnato in quegli anni di grande fermento a vivere le persone, incorniciare gli avvenimenti e scarabocchiare le tovagliette delle osterie. La Pedagogia è stata il punto di partenza di molte altre passioni come la filosofia, la storia e l'arte. La scrittura invece è sempre stata un'opportunità quasi sofferta, un'occasione di fuga. Ho discusso una tesi di laurea sul "bisogno e la pratica terapeutica dello scrivere" e su come questo possa influenzare il vissuto di ognuno. La scrittura è stata da sempre per me una compagna silenziosa, paziente, a tratti invisibile. Eppure tremendamente fondamentale. Il resto è storia recente e di pochi giorni. Un piccolissimo romanzo (Diario di un Addio) per mettere fine a tante storie del passato. Una silloge poetica (Paroxetina) per affrontare in modo terapeutico un periodo del presente. E poi tanti progetti, tanta scrittura e tanto futuro. Scrivo, ho scritto e scriverò di calcio e calci per SuperNews, di ciclismo e storie della bicicletta per Fuoricorsa e delle bellezze della mia Firenze per FUL. Ho diretto il blog "La Locomotiva" come fosse un Bar in cui si è parlato di Poesia, Prosa, Prosatori e Poeti. Mi chiamo Andrea Terreni ed è difficile che possa raccontare cosa sono. Ho un Ristorante e sono un giornalista. Parlo con la gente e spesso non la capisco. Adoro accontentare e non mi accontento mai. Ho un passato che pesa, un presente che brilla e un futuro che non so proprio cosa possa diventare.