La catalisi creativa di Cracking Art è il titolo che ho immaginato mentre redigevo quest’articolo, trasferendo al post le suggestioni vissute durante l’intervista a Kicco, uno dei fondatori del celebre collettivo.
Il gruppo è nato nel 1993, in un mood di profondo cambiamento del segno artistico, fatto di impegno sociale e ambientale, unito all’allora rivoluzionario utilizzo di materiali plastici, su uno spartiacque sottile tra vita naturale e realtà artificiale.
Il cracking catalitico è la reazione chimica che trasforma il petrolio grezzo in plastica, con un passaggio materico dall’organico al sintetico. Questa è l’origine del nome che raccoglie tuttora gli artisti e prefigura una catalisi di segno opposto, dalla sintesi chimica all’esplorazione della vita.
Passiamo al dialogo con Kicco …
La catalisi creativa di Cracking Art – l’intervista
La vostra arte è fortemente caratterizzata dall’uso di materiali plastici riciclabili. Come è nata questa scelta e qual è il messaggio racchiuso in questa rigenerazione materica?
All’epoca in cui ci siamo costituiti in gruppo, nel nostro paese, non erano ancora stati introdotti i processi di riciclaggio della plastica. Il suo utilizzo in chiave artistica era già un modo di sottrarne una pur piccola parte ai cicli del consumo. Il nostro approccio cercava di esaltare la “nobiltà” del materiale: una risorsa fossile che solo l’intelletto dell’uomo ha saputo trasformare in una sostanza plasmabile.
Da allora, fortunatamente, abbiamo assistito a cambiamenti importanti; le leggi green e l’approccio allo smaltimento si sono evoluti, anche se il pensiero “plastic free”, qualche volta, mettendo a fuoco una sorta di “nemico”, risulta un po’ fuori equilibrio rispetto all’impatto di altri materiali, solo apparentemente innocui.
Il nome “Cracking Art”, nell’immaginario di chi non pensa al processo produttivo della plastica, può evocare anche l’idea di un percorso di trasformazione e rottura. Vogliamo approfondire questa parte della vostra filosofia creativa?
Il concetto di “rottura”, inteso come confronto e cambiamento, in un collettivo come il nostro, è una raccolta di istanze diverse, che vuole allontanare l’autoreferenzialità. Peraltro, è un cambiamento anche essere artista “per strada” – non solo in una galleria o in un museo – e cercare di coinvolgere il pubblico, in un contatto con le tante realtà che ci circondano.
Un altro elemento di rottura è che le nostre installazioni sono pensate per essere temporanee e non indirizzate all’eternità, come accade soprattutto nell’arte classica..
Le vostre installazioni sono quasi monumentali e collocate, per lo più, in spazi pubblici. Qual è l’importanza di questo tipo di interazione col pubblico nella percezione dell’opera?
La “monumentalità“, il colore, le posizioni sono pensati proprio per mettere i messaggi della proposta artistica in grande evidenza. Se ci pensiamo, la stessa plastica, per sua natura, “viene sempre a galla”.
Usiamo segnali forti, leggermente stranianti, ma riconoscibili. I nostri soggetti sono animali “alieni” eppure familiari e non vogliamo che passino inosservati, come talvolta accade alle statue tradizionali, che, col tempo, rischiano di diventare una parte anonima del paesaggio urbano.
Nel corso degli anni, avete realizzato tanti progetti, in diverse città del mondo. Esistono, per voi, “installazioni del cuore”? Esperienze che considerate particolarmente significative o punti di svolta nel vostro percorso?
Il rapporto con le persone e i territori genera ogni volta uno scambio di energia, che prende il volo nel collaborare ed essere parte di un luogo. Ricordo, con grande emozione, il nostro lavoro in Cile: aveva generato una grande risposta, sia a Santiago che a Viña del Mar, con un’importante partecipazione popolare.
Durante ogni installazione si creano piccole o grandi comunità artistiche temporanee, che risultano rigeneranti per il gruppo stesso.
Come gruppo, lavorate in una molteplicità di voci e idee. Qual è il processo creativo che seguite per raggiungere una visione comune? Si sono mai verificati “conflitti” artistici nel team?
Nel tempo, ci sono stati cambiamenti nella composizione del gruppo e le relazioni umane sono cresciute. Abbiamo sempre cercato di ricondurre le dinamiche interpersonali a esiti di condivisione, sempre con l’idea di uscire dall’autoreferenzialità.
Nei confronti, cerchiamo di trasformare l’eventuale frustrazione in creatività e, grazie a una sempre migliore conoscenza reciproca, abbiamo messo a fuoco i nostri aspetti complementari, dissolvendo le fasi di conflittualità.
La sostenibilità ambientale è un tema chiave del vostro lavoro. Pensate che l’arte possa influenzare l’esteso dibattito mondiale sul tema?
Sicuramente a qualcosa l’attività creativa (e, ovviamente, non solo la nostra) è servita; soprattutto in un momento in cui i grandi riferimenti tradizionali vengono meno, l’arte può recitare un ruolo importante. Portare elementi di bellezza, un sorriso, un’emozione può mettere insieme un motore di crescita in ogni contesto.
Nel panorama artistico contemporaneo, c’è qualche artista o movimento che considerate un riferimento o una fonte d’ispirazione per il vostro lavoro?
L’aspetto stimolante di un gruppo sono proprio le sensibilità diverse e le contaminazioni tra visioni difformi, che, dall’interno, si aprono, via via, verso l’esterno.
In questo momento mi viene in mente Joseph Beuys (pittore, scultore e performance artist tedesco del novecento – NdT); le sue creazioni sono cariche di elementi “magici“, in qualche caso sovrannaturali, che trasfigurano gli oggetti. La sua opera intitolata “bottiglia d’olio” è iconica di questo processo. Altra figura che ritengo importante è quella dell’italiano Maurizio Cattelan, una fonte d’ispirazione per il senso d’ironia presente nei suoi lavori, si pensi, per esempio, al “meteorite”.
Le vostre opere spesso ritraggono animali stilizzati e colorati. Come scegliete i vostri animali-icona e quale ruolo giocano nel dialogo tra arte, uomo e natura?
Questo è un ambito in cui la dinamica di gruppo prende corpo; in qualche modo, ciascuno di noi ha il proprio “animale nel cassetto” da portare alla luce. Ciò che davvero conta è il messaggio che entra in gioco. Volendo fare un esempio, il suricato è stato scelto nel momento dell’uscita di un membro dal gruppo.
Parliamo di un piccolo mammifero, che appartiene alla famiglia delle manguste e vive nelle zone desertiche dell’Africa meridionale. I suricati hanno un comportamento sociale molto articolato e vivono in “clan” cooperativi che possono arrivare anche a 50 individui. Sono animali che collaborano per sopravvivere ai predatori e alle avversità ambientali, facendo sempre leva sulla coesione del gruppo.
Gli animali, poi, si ricollegano alla tradizione popolare che nutre le favole e i cartoni animati, dove l’animale è antagonista o salvatore. I nostri esemplari sono anche presenze silenziose, osservatori o sentinelle, nei contesti dove li collochiamo.
Il vostro è un percorso artistico che ha un evidente elemento ludico, quanto è importante per voi il concetto di “gioco” e di “interazione” col pubblico, in un’arte non solo contemplativa?
Tra le figure che ci ispirano di più, troviamo Gianni Rodari, scrittore e giornalista che ha creato fiabe divenute poi classici e Bruno Munari, un artista a tutto tondo dell’espressione visiva e scritta (design, pittura, cinema, poesia, didattica e scultura). Per osservare il mondo o crearne una visione prospettica, usiamo gli aspetti magici ed evocativi che del gioco sono chiavi fondamentali.
L’ultimo animale che abbiamo creato, l’oca, è comparso in un’installazione intitolata, non a caso, “il gioco dell’oca”, che si sviluppava su un percorso a spirale e a tappe, proprio come il celebre gioco da tavolo.
Avete già esplorato altre forme d’arte, come la performance o la musica, all’interno di uno dei vostri progetti collettivi? Se sì, puoi farci qualche esempio?
Anni fa, abbiamo creato un contesto, definito di “cracking music”, in cui un musicista evocava riferimenti agli spazi urbani e alla vita di fabbrica. A volte, abbiamo realizzato collaborazioni con stilisti fashion o altre figure creative.
Una sorta di performance si innesca anche quando, all’installazione, s’aggiunge l’azione spontanea di visitatori, che avvicinano, abbracciano e toccano gli animali. A volte lo fanno in risposta a nostre suggestioni, come quando, a Milano, abbiamo invitato i presenti a lanciare, per “liberarle” 5.000 nostre rane nell’acqua dei Navigli.
Due termini chiave comparsi in precedenza, “interazione” e “performance”, mi suggeriscono una nuova domanda; mi occupo da tempo di installazioni e performance d’arte digitale interattiva. Avete qualche interesse per questa forma espressiva?
Siamo sicuramente interessati all’apporto che possono dare le nuove tecnologie. In qualche caso, abbiamo valutato l’inserimento di device tecnologici, soprattutto se interattivi, nelle installazioni. Va detto che la loro gestione, in spazi urbani, per lungo tempo, richiede molta organizzazione e pone qualche problema pratico. Certo sarebbe interessante approfondire il tema in spazi contenuti e protetti.
Concluderei l’intervista con un tema che mi piace porre agli artisti che intervisto: c’è qualcosa, che non abbiamo toccato nel nostro dialogo, che vi piacerebbe inserire in questo articolo?
Siccome a noi piace approfondire la reazione del pubblico ai nostri lavori, rispondo alla tua domanda con un’altra domanda: cosa pensi tu di Cracking Art e del nostro lavoro?
Riprendo la parola e parlo a Kicco delle forti suggestioni che, nel tempo, il loro percorso creativo mi ha evocato: in primis l’elemento magico, che ho sempre percepito e mi ha ricordato figure importanti, come Alejandro Jodorowsky, con i suoi atti di psico-magia.
Parlo poi del linguaggio simbolico evocato nel dialogo muto con gli animali, vivi o rappresentati, che, sin dall’infanzia, mi ha affascinato … le parole e i pensieri rimbalzano tra di noi, arricchendo l’intervista di momenti non previsti e affascinanti.
Grazie di tutto, Kicco.
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