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oscar graubner, Bourke-White in cima al Chrysler Building New York City, 1932 ca, © Margaret Bourke-White/The LIFE Picture Collection, ritaglio

Nel segno del nostro titolo, Margaret Bourke-White una vita da record, fino al 6 ottobre 2024 il Camera di Torino dedica una retrospettiva alla carriera e alla vita di una delle donne più influenti e rappresentative del fotogiornalismo del XX Secolo: Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960, a cura di Monica Poggi.

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Oscar Graubner, Margaret Bourke-White in cima al Chrysler Building, New York City, 1932 ca, © Margaret Bourke-White/The LIFE Picture Collection (ritaglio)

Camera – Centro Italiano per la Fotografia

Via delle Rosine 18, 10123 – Torino

www.camera.to | camera@camera.to

Fino al 6 ottobre 2024

La mostra include una serie di opere visivo-tattili accompagnate da audiodescrizioni che approfondiscono lo stile e la storia. La selezione comprende sia alcune delle immagini più celebri sia alcuni scatti meno conosciuti del suo lavoro. Il catalogo è curato da Dario Cimorelli Editore.

In mostra 150 fotografie, organizzate in sezioni tematiche, che raccontano il mondo visto da un’altra prospettiva, quella di una donna controcorrente rispetto al suo tempo, la cui determinazione senza paura, l’ambizione a primeggiare in tutto, l’inarrestabile curiosità di fronte agli eventi del mondo, la portano a esplorare ogni aspetto della fotografia e a oltrepassare barriere e confini, non solo fisici ma anche culturali e di genere.

Le prime esperienze e la fotografia industriale

Nata nel 1904 nel Bronx, Margaret Bourke-White viene incoraggiata sin da piccola a fissare standard levati per se stessa. Ereditata dal padre la passione per la fotografia, durante il college frequenta un corso con Clarence H. White, figura fondamentale del foto secessionismo americano, dal quale apprende le composizioni formali e perfette e l’estetica morbida e sfumata del pittorialismo. Durante gli anni universitari sfrutta la passione per la fotografia per pagarsi gli studi e le attrezzature vendendo foto del campus come souvenir agli studenti del college. Nel 1927, trasferitasi a Cleveland, poco più che ventenne, apre il suo primo studio fotografico, specializzandosi nella fotografia industriale.

i ponti, le navi, le officine hanno una bellezza inconscia e riflettono lo spirito del momento.

M. Bourke-White

Convinta che l’industria sia il vero luogo dell’arte, cattura potenti immagini di fabbriche, macchinari e architetture, simbolo di modernità e progresso: le astrazioni geometriche, i giochi spaziali dei piani sovrapposti, gli effetti di luce che conferiscono drammaticità alle immagini, unite alla ricerca ostinata dell’inquadratura perfetta, che la spinge a raggiungere le zone pericolose e insalubri degli stabilimenti, le permettono di diventare la prima fotografa industriale a guadagnare celebrità e a dare rilievo artistico alla fotografia industriale.

Margaret Bourke-White una vita da record – Fortune e i primi grandi successi

Nel 1929 avviene la vera svolta professionale, quando Henry R. Luce, caporedattore di Time, la ingaggia come collaboratrice per la nuova rivista Fortune, per la quale potrà finalmente realizzare i reportage che ama. Si trasferisce così a New York e si afferma nel mondo della comunicazione. I suoi reportage riscuotono successo e diventa un personaggio pubblico di cui si parla. Bourke-White è una donna ambiziosa, determinata a raggiungere i suoi obiettivi. Sacrifica la scelta più ovvia per una donna del suo tempo, matrimonio e famiglia, per essere libera, come lo sono gli uomini, di seguire quella che si delinea sempre di più come una missione, raccontare il mondo attraverso la sua macchina fotografica.

Apre un lussuoso studio all’ultimo piano del Chrysler Building, lo stesso dal quale si farà ritrarre da Oscar Graubner, suo assistente, intenta a fotografare, senza alcuna protezione e vestita di tutto punto, la brulicante città sotto di lei, appoggiata alla testa di un gargoyle, «per scattare foto degli stati d’animo mutevoli della città».

Nello stesso periodo firma reportage sull’industria tedesca, ed è la prima fotografa occidentale autorizzata a viaggiare, da sola, in Unione Sovietica per documentare il piano quinquennale di ammodernamento, voluto da Stalin, per trasformare la Russia in una potenza industriale. Da questa esperienza nasce il primo libro, Eyes on Russia (1931).

I reportage di LIFE

Margaret Bourke-White Diga di Fort Peck Impulsi Creativi https://www.impulsicreativi.it/ Fort Peck
Margaret Bourke-White, Diga di Fort Peck, Montana, 1936
© Margaret Bourke-White/The LIFE Picture Collection/Shutterstock

Il 23 novembre del 1936 nasce la rivista LIFE, ed è lei a firmare il primo reportage (primo di una lunga serie) e la prima copertina, con l’immagine della diga di Fort Peck, nel Montana. È la foto perfetta, che simboleggia il momento storico e i valori del New Deal, il piano di ripresa economica per risollevare l’America dalla Grande Depressione. Il gioco di proporzioni fra l’imponenza dei piloni di cemento e le due figure umane in basso, quasi impercettibili, accentua la capacità dell’uomo di dominare la natura e vincerla.

In quegli anni la visione di Bourke-White è affine agli ideali di LIFE, che vuole essere una finestra sul mondo, che farà della fotografia un nuovo linguaggio, un nuovo mezzo di comunicazione per conoscere e, soprattutto, vedere il mondo, grazie anche al grande ruolo rivestito dai reportage che accompagnano le inchieste.

Fotografia come scelta etica

Sempre in pieno New Deal, Bourke-White affronta un viaggio lungo diciotto mesi nelle campagne del Sud, dalla Carolina del Sud all’Arkansas, per documentare le condizioni di profonda miseria dei mezzadri. Il Paese sta attraversando una crisi senza precedenti e, per la prima volta da fotografa, Bourke-White viene a contatto con la drammatica realtà sociale e sente l’urgenza dell’impegno sociale. Il fattore umano diviene il focus del suo obiettivo. Da questa esperienza nasce il primo libro a quattro mani, You have seen their faces, del 1937, in collaborazione con lo scrittore Erskine Caldwell (nei cui romanzi denuncia il dramma della miseria nelle campagne Sud e accusa il sistema sociale americano).

L’essere umano diventa così il protagonista delle sue inquadrature. Non è più la presenza casuale delle foto industriali del primo periodo, ma acquista importanza e dignità, anche nella sua condizione di miseria. Bourke-White comprende come le persone, in fotografia, debbano essere trattate con rispetto e solidarietà, utilizzando tutta la sensibilità possibile.

 

Ogni fotografo che cerca di ritrarre gli esseri umani in modo penetrante deve mettere più cuore e mente nella sua preparazione di quanto non mostrerà mai una fotografia.

M. Bourke-White

Margaret Bourke-White Alluvionati afroamericani 04 Impulsi Creativi https://www.impulsicreativi.it/
Margaret Bourke-White, Alluvionati afroamericani in fila per ricevere cibo e vestiti da un centro di soccorso della Croce Rossa davanti a un cartellone pubblicitario che esalta ironicamente: “Il più alto tenore di vita del mondo / Non c’è altra strada che quella americana” Louisville, Kentucky, 1937 © Margaret Bourke-White/The LIFE Picture Collection/Shutterstock

La prospettiva non è più quella dall’alto, distaccata, ma è ad altezza uomo. La fotografia diventa una scelta etica, una forma di comunicazione educativa e morale, oltre che estetica.

Come nel caso di At the Time of the Louisville Flood (1937), la celebre foto che ritrae una fila di alluvionati afroamericani che attendono, in maniera composta, viveri e assistenza, sovrastati da uno stridente cartellone pubblicitario che mostra la famiglia perfetta nell’America perfetta.

In questa immagine emergono gli effetti dell’alluvione devastante (quella del fiume Ohio del 1937) in un periodo ancora segnato dalla crisi. Il contrasto tra lo slogan pubblicitario del sogno americano e la realtà dell’emergenza umanitaria mette in evidenza, con amara ironia, l’ingiustizia sociale in tutta la sua durezza e l’incapacità di un Paese di garantire eguaglianza a tutti i suoi abitanti.

I reportage dal fronte

In quegli stessi anni LIFE la invia in Europam per documentare l’avanzata del nazismo e la guerra imminente, e in Russia. Il coraggio e il tempismo perfetto (una sorta di speciale grazia del destino) le consentono di documentare gli eventi che hanno segnato la storia. Dal tetto dell’ambasciata americana fotografa il bombardamento dei tedeschi su Mosca, nel 1941, e realizza il primo ritratto non ufficiale di Stalin. Diventa la prima reporter di guerra sulla prima linea del fronte accreditata dall’esercito americano. Per lei viene disegnata apposta un’uniforme, con la sigla W.C. (War Corrispondent) sulle mostrine. Tra ospedali da campo, trincee, unica donna tra i soldati, si guadagna l’epiteto di “Maggie l’indistruttibile”, disposta ad accettare ogni condizione e ogni pericolo pur di documentare le trasformazioni del mondo.

Nel 1944 è in Italia, sull’Appennino, sul fronte dimenticato, a immortalare l’assedio della Linea Gotica. Nel 1945, a seguito del generale Patton, è la prima a fotografare l’orrore nel campo di concentramento di Buchenwald. È probabilmente l’esperienza più dura come reporter e come donna. Le sue fotografie dei detenuti emaciati e dei cadaveri nelle camere a gas fanno il giro del mondo.

La macchina fotografica diventa uno strumento di protezione, uno scudo contro quelle atrocità, necessario per assecondare quel dovere morale di raccontare.

Per lavorare ho dovuto coprire la mia anima con un velo. Quando fotografavo i campi di sterminio, quel velo protettivo era così saldo che a malapena comprendevo cosa avevo fotografato. Tutto si rivelava in camera oscura, al momento di stampare le mie immagini. E allora era come se vedessi quegli orrori per la prima volta.

M. Bourke-White

They Called It Purple Heart e Dear Fatherland, Rest Quietly sono i volumi che raccontano gli anni della guerra.

L’India di Gandhi

Nel 1946 è in India, dove si stanno gettando le basi per l’indipendenza dal colonialismo britannico. Lì rimane due anni a documentare le culture, i popoli e i divari sociali, gli eventi, in particolare le sanguinose tensioni dalle quali nasceranno due nazioni, l’Unione Indiana e il Pakistan. Intervista e fotografa Gandhi più volte, regalando al mondo una delle fotografie più emblematiche del padre della satyagraha, dell’uomo che credeva che la preghiera potesse vincere la bomba atomica e che, per ironia del destino, viene ucciso da un fanatico nel 1948, due ore dopo l’ultima intervista. È l’unica fotografa ammessa al funerale, insieme Henri Cartier-Bresson.

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Margaret Bourke-White, Mohandas Karamchand Gandhi mentre legge vicino a un arcolaio nella sua casa di Pune Maharashtra, India, 1946, © Margaret Bourke-White/The LIFE Picture Collection/Shutterstock.

 

Margaret Bourke-White una vita da record – gli ultimi reportage

Dal 1949 al 1953, ormai fotografa di fama internazionale, firma ancora altre grandi inchieste. Una riguarda la situazione in Corea dopo la firma dell’armistizio e la brutale guerriglia fra nordcoreani e sudcoreani. L’altra sull’apartheid in Sud Africa. Le fotografie scattate dall’inferno delle miniere d’oro aprono gli occhi del mondo sulle terribili condizioni dei minatori di Johannesburg e sulla vergogna della segregazione razziale.

A metà degli anni Cinquanta le viene diagnosticato il morbo di Parkinson. Nonostante le difficoltà di movimento sempre maggiori dovute alla malattia, riesce ancora a viaggiare e a compiere la sua missione di fotoreporter. Una delle ultime inchieste per LIFE, stavolta a colori, riguarda il tema del razzismo nel Sud degli Stati Uniti. A questa si aggiunge la serie di foto aeree, sua eterna passione. Dall’alto di un elicotterom o un aereo, i soggetti e i paesaggi ritornano a farsi piccoli e indefiniti, ma pur sempre spettacolari e sorprendenti.

Nel 1963, ormai vinta dalla malattia, si dedica alla scrittura e pubblica la sua autobiografia, Portrait of Myself, che diventa un best seller. Muore nel 1971 a seguito di una caduta accidentale.

Trovare qualcosa di nuovo, qualcosa che nessuno avrebbe potuto immaginare prima, qualcosa che solo tu puoi trovare perchè, oltre ad essere fotografo, sei un essere umano un po’ speciale, capace di guardare in profondità dove altri tirerebbero dritto.

M. Bourke-White

 

Alessandra Parisi

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Alessandra Parisi

Mi chiamo Alessandra Parisi, sono nata e cresciuta a Lecce, dove mi sono laureata in Lingue e letterature straniere con una tesi di laurea in Sociolinguistica. Da quasi 20 anni vivo a Torino, punto di partenza di nuovo percorso di studi e professionale, nato dall'esigenza di assecondare un talento innato nel disegno, la passione per la moda e il desiderio di vivere di creatività manuale, un bisogno personale rimasto per tanto tempo in seconda fila. Ho lavorato per diversi anni in aziende di moda e studi stilistici, occupandomi di progettazione. Successivamente, spinta dalla perenne curiosità di capire come si fanno le cose, ho studiato oreficeria, scoprendo di sentirmi perfettamente a mio agio tra seghetti, frese, saldatrici, buratti e ferramenta varia, strumenti che ancora oggi mi accompagnano nel mio progetto dedicato al gioiello contemporaneo, dove metalli e materiali diversi, a volte insoliti, si incontrano. Da 5 anni sono docente di disegno tecnico e disegno digitale (2D e 3D) per la moda presso IAAD Torino, nel corso di laurea in Textile and Fashion Design.