Tra street art e poesia urbana: Alice Pasquini è la protagonista di una nuova intervista per la nostra blogzine. Figura di spicco nel panorama della street art contemporanea, è nota per opere che spaziano dai murales alle illustrazioni, raccontando storie che dialogano coi luoghi che colorano, dove rappresentano emozioni e relazioni umane.
In quest’intervista, proviamo ad approfondire il suo percorso artistico, le ispirazioni che guidano il suo lavoro e le sfide affrontate nel mondo dell’arte urbana.

L’intervista
Buongiorno Alice, inizierei dalla tua formazione, dagli studi all’Accademia di Belle Arti di Roma fino alle esperienze creative di strada, in Italia e all’estero, come la racconteresti?
La strada è stata una seconda accademia. All’inizio non avrei mai immaginato che sarebbe diventata un lavoro vero e proprio; era un’esperienza artistica, persino rischiosa, che richiedeva un segno rapido e uno stile immediato, in linea con l’idea del “buona la prima”. Questo approccio, apparentemente istintivo, mi ha aiutata a definire e valorizzare un tratto personale e a sviluppare una sensibilità verso ciò che mi circondava.
Mi sono sempre interessata a situazioni vicine alla contemporaneità e alla realtà, trovando ispirazione nel dialogo diretto con il contesto. Non mi attirava la tela bianca o uno spazio neutro, quanto piuttosto l’interazione con un luogo specifico e con la storia che porta con sé. Ogni muro, ogni superficie, mi ha insegnato a osservare e a riflettere sulla relazione tra l’opera e lo spazio pubblico, trasformandolo in un racconto condiviso. In strada tutto è esposto, vulnerabile, ma allo stesso tempo vivo e in continua evoluzione, e questo ha profondamente influenzato il mio modo di creare.

Le tue opere spesso raffigurano figure femminili intense e indipendenti. Come scegli i soggetti di quelle rappresentazioni?
Nel contesto dello spazio pubblico sento una grande responsabilità. La rappresentazione delle donne deriva da una visione femminile – la mia – che si sofferma su particolari momenti di sospensione. I miei soggetti sono spesso ritratti in fasi introspettive, che riflettono il senso dell’esistenza. Mi è stato detto che il mio lavoro trasmette una sorta di “malinconia del futuro”, un’espressione che mi ha colpita e che sento vicina.
La street art è per sua natura effimera. Come ti rapporti alla temporaneità delle tue opere e alla possibilità che vengano rimosse o coperte?

Quando creo un murale mi inserisco in un contesto e in una storia. Non voglio stravolgere il luogo né correggere i segni del degrado. Piuttosto, cerco di integrarmi nell’esistenza e nell’evoluzione di quello spazio, senza cancellare ciò che c’è sotto, ma appropriandomene in modo rispettoso.
Tra street art e poesia urbana: Alice Pasquini – progetti
Nel progetto CVTà Street Fest a Civitacampomarano hai portato l’arte urbana in un contesto rurale. Che sfide e opportunità hai incontrato in quell’esperienza?
Quest’anno il festival celebra i suoi 10 anni, un traguardo significativo, per un progetto che ha saputo unire tradizione e contemporaneità. Si svolge a Civitacampomarano, un borgo affascinante, destinato a sparire, che invece ha ritrovato una nuova vita attraverso l’arte e il coinvolgimento della comunità. Per me ha anche un valore personale: mio nonno è nato e cresciuto lì, e questa connessione ha reso ancora più speciale il mio impegno.
La sfida principale è stata adattare l’arte urbana a un contesto rurale, lavorando con un tessuto urbano fragile, ricco di storie e memorie. Ma proprio questa fragilità ha rappresentato un’opportunità unica: creare un dialogo tra passato e presente, tra il degrado e la rinascita. Il festival ha trasformato il borgo in una galleria a cielo aperto, riportando l’attenzione su un luogo dimenticato, che oggi vive attraverso l’interazione tra arte, territorio e comunità.
Osservando i tuoi lavori, ho notato tratti e chiavi espressive che mi hanno ricordato, in alternanza, Andrea Pazienza e Hugo Pratt. Poi ho scoperto una tua incursione nel mondo del fumetto, la graphic novel “Vertigine”, scritta da Melissa P. Puoi raccontarci qualcosa?
Sono cresciuta in una famiglia che amava i fumetti. Mio zio è stato uno dei fondatori de Il Male, la rivista satirica con cui collaborava Pazienza. Il fumetto italiano mi ha influenzata naturalmente: è una forma d’arte affascinante, che però fatica a trovare il giusto riconoscimento nel nostro paese. Vertigine è stata un’opera prima stimolante, frutto di un’interessante collaborazione con Melissa.
Nel tuo lavoro Under Layers, a Ostia, hai sperimentato con la tecnica del 3D. Come hai integrato questa tecnologia?

In quel progetto ho lavorato con un fotografo, utilizzando una sorta di 3D analogico, fatto di livelli sovrapposti. Gli scatti fotografici modellavano le bozze, creando un’opera che evolveva progressivamente. È stato interessante scoprire come il 3D possa essere percepito in modo soggettivo, aggiungendo un elemento di sperimentazione.
Tra street art e poesia urbana: Alice Pasquini – contesti
Hai realizzato opere sia in spazi pubblici che in gallerie. Come cambia il tuo approccio creativo in questi contesti?
Cerco sempre di inserirmi in una storia, sia all’aperto che al chiuso. La differenza è che negli spazi indoor posso lavorare su opere più fragili e dettagliate, destinate a essere protette e fruite in modi diversi. La mia libertà creativa è aumentata rispetto agli inizi, anche grazie a una maggiore stabilità economica.
La tua arte è stata definita “poetica” e “intimista”. Come riesci a trasmettere emozioni profonde attraverso la street art?
L’aspetto emozionale delle mie opere si rivela spesso a posteriori, quando riesco a decifrare segni e simboli che avevano un significato nascosto nel momento della creazione. Ad esempio, in un periodo particolare della mia vita, ho notato che rappresentavo ripetutamente donne che dormivano, un’immagine che, solo in seguito, ho interpretato come un segno inconscio del mio stato interiore.
Questa capacità di rivelare emozioni profonde attraverso immagini semplici e immediatamente riconoscibili – come il sonno, simbolo di vulnerabilità e intimità – permette a chi osserva di intravedere quel lato nascosto, trasformando la street art in una forma di poesia visiva.
Hai coinvolto nelle tue opere soggetti femminili di culture diverse. Come hai approcciato questa pluralità?
Non è il risultato di una ricerca precisa, ma piuttosto una conseguenza naturale dei luoghi in cui lavoro. Ogni nuova località ha contribuito spontaneamente a generare un’espressione multiculturale.

I social media e la tecnologia stanno cambiando il modo in cui l’arte viene fruita. Come li utilizzi e cosa pensi dell’arte generativa?
Uso i social per interagire con il pubblico, ma il mio lavoro nasce dalle mani. Il digitale pone interrogativi su come compensare gli artisti per l’uso delle loro opere. L’arte generativa può offrire nuovi stimoli, ma dev’essere integrata con una visione artistica personale.
Una domanda che faccio spesso nelle interviste: c’è un tema che non abbiamo toccato e che ti piacerebbe evidenziare?
L’arte è emozione, e forse, come diceva Frank Zappa:
Parlare di musica è come ballare di architettura.
Un grazie di cuore ad Alice Pasquini.

©impulsicreativi.it – riproduzione riservata.
Potrebbero interessare anche le interviste:
- La visione inclusiva di Carolina Amoretti
- Irene Trancossi tra luce mito e natura
- La catalisi creativa di Cracking Art
- Gli orizzonti di Pierpaolo Rovero
- Michele Motiscause arte ed equilibrio
- Ludovica Carbotta esploratrice della dimensione urbana
- Intervista a Ilaria Bianchi