Walter Albini. Il talento, lo stilista
Museo del Tessuto, Via Puccetti n. 3, Prato
Fino al 30 novembre 2024
Il suo nome potrebbe suonare nuovo a molti, eppure Walter Albini (nato Gualtiero Angelo Albini, Busto Arsizio, 1941 — Milano, 1983) è stato un pioniere assoluto e un rivoluzionario della moda, una mente creativa tra le più brillanti, feconde, lungimiranti, tra gli anni Sessanta e primi anni Ottanta del Novecento.
A poco più di quarant’anni dalla sua scomparsa, il Museo del Tessuto di Prato dedica una mostra all’intera esperienza professionale del primo vero stilista italiano: Walter Albini. Il talento, lo stilista, curata da Daniela Degl’Innocenti e Enrica Morini.
Fino al 30 novembre 2024 le sale del Museo saranno abitate da oltre 400 oggetti (molti provenienti dalla donazione fatta al Museo da Paolo Rinaldi, storico collaboratore dello stilista), in gran parte inediti, tra cui abiti, illustrazioni, bozzetti e altro materiale grafico, documenti d’archivio, foto, bijou e accessori, disegni preparatori, stampe per tessuti.
Altri importanti prestiti e contributi provengono da istituzioni pubbliche, come il Centro Studi e Archivio della Comunicazione (CSAC) dell’Università di Parma e Palazzo Morando|Costume Moda Immagine di Milano; da privati, come Archivio A.N.G.E.L.O., Collezione Carla Sozzani-Fondazione Sozzani, Collezione Massimo Cantini Parrini, Archivio Storico Camera Nazionale della Moda Italiana, conservato presso l’Università Bocconi di Milano; dagli archivi di fotografi celebri, tra cui Archivio Alfa Castaldi e Maria Vittoria Backhaus.
Il catalogo, edito da Skira, è ricco di riferimenti fotografici e contributi che ricostruiscono la figura di Albini ed è a cura di Daniela Degl’Innocenti e Enrica Morini.
Contesto culturale
Testimonianze preziose che vogliono restituire al pubblico interesse e consapevolezza su un interprete magistrale del suo tempo, ingiustamente vittima di dimenticanza collettiva dopo la sua prematura scomparsa. La mostra offre anche l’occasione per comprendere il contesto storico e culturale in cui opera Albini, negli anni in cui non esiste ancora il sistema moda italiano come lo conosciamo oggi.
Sono gli anni del boom economico, che hanno un impatto importante sugli usi e le abitudini della società. L’abbigliamento diventa un fatto culturale, un strumento di identificazione e appartenenza ideologica, al servizio del corpo e del suo ruolo sociale, soprattutto per le nuove generazioni. Tuttavia la moda fa ancora rima con haute couture, perché basata sull’unicità e sulla esclusività dei capi prodotti negli atelier. Una moda ancora poco democratica, perché soddisfa le esigenze di pochi, per tempi e costi, e alimenta i sogni di molti, ovvero di un pubblico sempre più attento al vestire.
L’alternativa all’alta moda sono le aziende confezioniste dal profilo territorialmente frammantato e che non sono in grado di produrre capi qualitativamente e quantitativamente in linea con le attese del consumatore, perché ancora industrialmente poco organizzate.
Albini comprende che i meriti dell’alta moda sono anche i suoi limiti. Egli cerca un modo per velocizzare il processo produttivo, affinché l’industria della moda viaggi di pari passo con il cambiamento, facendosi interprete della rivoluzione dei gusti, immergendosi in ogni aspetto del processo creativo e sviluppando metodi di progettazione inediti in quel periodo, che mettono insieme creatività e logica, senso pratico e competenze in fatto di produzione industriale seriale (accessibilità, velocità, produzione di massa), prerogativa del nascente prêt-à-porter italiano, innescando il meccanismo che darà vita al Made in Italy nella prassi dopo di lui.
Percorso espositivo della mostra
Tre percorsi tematici, distribuiti su 1000 mq di superficie, raccontano la storia professionale e umana di Albini, indissolubilmente connesse dal culto della bellezza da ricercare in ogni aspetto dell’esistenza.
Gli anni della formazione e le prime esperienze da free lance
La prima sezione (1959-1972), nella sala delle collezioni storiche, al piano terra, è dedicata agli anni della formazione scolastica (frequenta l’Istituto statale d’arte per il disegno di moda a Torino), le prime esperienze come illustratore per riviste di settore, l’esperienza come illustratore e grafico a Parigi per l’agenzia di styling di Maimé Arnodin e Denise Fayolle.
E poi ancora l’incontro con Coco Chanel, punto di riferimento costante per la sua moda e, tornato in Italia, le prime collaborazioni con Gianni Baldini, il primo a dargli fiducia, e Krizia, per la quale inizia a progettare maglieria, accanto a un esordiente Karl Lagerfeld. L’esperienza con Krizia gli permette di approfondire lo studio di diversi materiali e tecniche di produzione tessili.
Creatività e industria tessile
Segue un periodo di numerose consulenze e collaborazioni con boutique e aziende di confezione: Billy Ballo, Cadette, Trell, Montedoro, Cole of California, Basile, Callaghan, Misterfox (di cui è cofondatore, insieme all’ imprenditore Luciano Papini) e altri, che sfilano a Pitti e MareModa Capri.
Il suo estro rivoluzionario, quasi profetico, la tendenza al perfezionismo, unite a una incredibile abilità progettuale, legata alla capacità di comprendere i bisogni e le attese del consumatore, lo portano rapidamente al successo.
Albini non è, infatti, soltanto un mirabile disegnatore di abiti, con una sensibilità estetica e un linguaggio grafico che rimanda alla cultura Liberty e Déco, alle suggestioni di Paul Poiret e Klimt, passando per le forme lineari e geometriche del Bauhaus e il Costruttivismo. Sul campo impara anche l’importanza di conoscere, e quindi coordinare, ogni singola fase dell’industrializzazione della moda: dallo studio dei materiali tessili, alla modellistica, alla produzione.
Dai groupage pubblicitari ai pattern per tessuti (famosi sono quelli disegnati per Etro), ai figurini corredati di campionature di tessuto e indicazioni di confezione, dai disegni degli accessori coordinati alle press release delle sfilate, tutto rivela come la sua preparazione sia estremamente versatile e la sua visione estetica totale.
Albini può considerarsi anche il precursore del concetto di gender fluid, portando in passerella, nel 1970, Unimax, collezione che presenta uniformità di stile e colore per uomo e donna, rompendo così con il conformismo che declina l’abbigliamento o al maschile o al femminile e difendendo la libertà di vestirsi fuori dagli schemi.
Milano e la nascita del prêt-à-porter e del total look
La visione innovativa di Albini si concretizza pienamente nel 1971, quando decide di presentare le sue collezioni a Milano invece che a Firenze, rompendo, di nuovo, con le convenzioni dell’epoca e aiutando Milano a diventare il futuro quartier generale della moda. La scelta di Milano risponde alla logica di una produzione più efficiente, poiché già industrialmente più sviluppata e più ricettiva al cambiamento rispetto al resto d’Italia.
Insieme a marchi come Ken Scott e Cadette (a cui seguiranno Krizia e Missoni), Albini presenta al Circolo del Giardino una collezione di oltre 200 modelli che passerà alla storia. Si tratta di un progetto unitario in termini di stile, che mette insieme cinque marchi, operanti in diversi settori merceologici e prodotti e distribuiti dal gruppo Ftm: Basile per i capispalla, Misterfox per gli abiti, Callaghan per il jersey, Diamant’s per la camiceria, Escargot per la maglieria, etichettati con il nome del produttore e con quello dello stilista, che comincia così a emergere dall’anonimato e dal ruolo di mero consulente.
Sono i primi esempi di total look: abiti e accessori per il giorno e per la sera, tutti perfettamente coordinati e studiati per la costruzione di uno stile e di un’identità.
Nasce così il prêt-à-porter, il lusso accessibile, e la consacrazione di Albini come stilista, neologismo coniato da Anna Piaggi proprio per definire il suo lavoro, la sua figura.
Albini cura non solo lo stile delle collezioni, ma anche tutte le parti in gioco coinvolte, in funzione di quello che oggi chiamiamo brand identity: dalla sfilata evento, spesso in location insolite, all’introduzione della musica durante la passerella, alla cura del make-up, tutto deve evocare sensazioni e suggestioni memorabili e riconoscibili, desiderabili.
In quest’ottica, Albini si presta al ruolo di influencer ante litteram: posa come modello per i suoi abiti e le campagne pubblicitarie, vive edonisticamente il suo successo come un dandy-esteta, contribuendo a creare il mito di se stesso, anticipando l’icona dello stilista super star.
WA, il marchio che porta il suo nome, i revival
La seconda sezione (1973-1975) della mostra si trova al piano superiore, nella sala 1. È dedicata a un nuovo capitolo della storia professionale dello stilista, ormai “forte come Saint Laurent”.
Nel 1973 interrompe i contratti che lo legano alle varie case di moda e nasce la linea che porta solo il suo nome WA, dedicata a capi d’élite, sostenuta economicamente da una seconda linea per un pubblico più ampio, a marchio Misterfox. Si riconferma il gusto per i revival e il citazionismo colto e raffinato, riletto in chiave più contemporanea.
“Mi piace il periodo che va dal 1925 al 1935 perché credo sia stato il decennio in cui tutti gli aspetti dell’esistenza umana sono stati rivoluzionati.. Basta pensate al taglio di capelli da maschietta, alle gonne che si sono accorciate e all’eliminazione dei corsetti. O a Francis Scott Fitzgerald e a Zelda, alle prime Garbo e Dietrich, al Bauhaus e all’art déco”.
W. Albini
Le collezioni sono presentate a Londra, dove compare la prima giacca destrutturata; a Venezia, con la celebre sfilata al Caffè Florian (1973), accompagnata da un’orchestra in Piazza San Marco; a Roma (1975), dove sfila per l’alta moda, con l’intento di rilanciare un settore in crisi. I modelli degli abiti possono essere acquistati in tela o in carta dalle sartorie o dalle boutique e confezionati per le clienti.
Viaggi e ispirazione etnica
La terza sezione (1974-1983), nella sala 2, è caratterizzata dalla conclusione della fase revival per sperimentare nuovi temi. Albini riprende l’attività di stilista free lance: dal 1974 al 1977 collabora nuovamente con il marchio Trell, progettando le collezioni “Guerriglia”, “India” e “Folk”.
Albini rivoluziona, ancora una volta, stile e modalità di progettazione: abiti in taglia unica, più versatili perché drappeggiati, senza tagli e cuciture né bottoni. Egli trae ispirazione dagli indumenti etnici che colleziona durante i suoi viaggi in Nord Africa e Oriente, India in particolare. Parte di questo archivio viene per la prima volta esposta al pubblico.
La dimensione del viaggio e dell’avventura predominano dunque in questo periodo. Sono prima di tutto viaggi dell’anima, che si concretizzano materialmente attraverso l’arte, la moda, i progetti di costumi per il teatro e il cinema.
Contemporaneamente si dedica alle collezioni uomo, concepite sempre nell’ottica di uno stile unisex. Per le presentazioni predilige la modalità della performance invece della tradizionale sfilata.
Le ultime significative collaborazioni sono quelle con Mario Ferrari, che produce e distribuisce a nome Walter Albini tre collezioni di successo dal 1978 al 1979; con Lanerossi, storico lanificio vicentino, fino al 1980; Lane Grawitz, con cui partecipa a cinque edizioni di Pitti Filati. Per quest’ultima traduce in modelli e abiti finiti le tendenze in fatto di filati, con lo scopo di presentare la qualità di questi ultimi.
La sua carriera termina nel 1983, quando si spegne prematuramente il 31 maggio, a soli 42 anni. Sebbene il suo nome viene presto dimenticato, il suo lascito è tangibile ancora oggi.
Bidayat, società di Alsara Investment Group fondata da Rachid Mohamed Rachid, ha acquisito la proprietà intellettuale e una parte consistente degli archivi di Albini. La società ha recentemente confermato il rilancio del marchio Walter Albini. Non c’è ancora una data certa. Quel che è certo, però, è che questo “gioiello nascosto della moda italiana”, parole di Rachid, tornerà a brillare.
©impulsicreativi.it – riproduzione riservata.
Potrebbe anche piacerti
Fendi Peekaboo equilibrio tra storia e futuro
6 Straordinari Tappeti d’Artista per un Design Raffinato